Dal 5 secolo d.c dopo l'indebolimento dell'Impero Romano, ci si avvia lentamente verso una generale frantumazione delle pratiche di governo, ad una disgregazione delle scuole, ad una difficoltà nelle comunicazioni; ecco che anche il linguaggio, il parlato, viene contaminato dalle parole nuove dei popoli invasori; per questo, attraverso un lento processo linguistico, la forza del latino viene meno, e si affermano su di lui quegli idiomi che, creano le attuali lingue o lingue moderne; in Sicilia, alla corte del ghibellino Federico II di Svevia, fondatore dell'università di Napoli (famosa per gli studi giuridici) e dell'università di Salerno (famosa per gli studi di medicina) vengono da lui chiamati studiosi cattolici, greci ed arabi; il colto imperatore, infatti, che parlava benissimo tedesco, francese, greco, latino, arabo e l'ebraico promuove degli studi scientifici nella città di Palermo; ecco che nel 1230 nasce nel capoluogo siciliano la scuola siciliana, primo centro in Italia in cui si parla italiano e luogo in cui si forma un primo gruppo di intellettuali, in tutto una ventina, i quali introdussero nei loro scritti il volgare siciliano; tra questi Pier delle Vigne, Iacopo da Alentini, Filippo da Messino, Cielo d'Alcamo ed altri. Dopo la morte di Federico II di Svevia nel 1250 la scuola siciliana si frantumò e l'eredità degli studiosi passò in Toscana esattamente a Firenze, prendendo il nome di Dolce Stil Novo; così, il fiorentino scritto, diventa alla fine del '200 la lingua letteraria per eccellenza di tutti gli intellettuali italiani fino ad oggi.
A Firenze infatti un piccolo cenacolo di giovani poeti, capeggiato dal bolognese Guido Guinizzelli, giudice di professione,e dai fiorentini Guido cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni e lo stesso Dante Alighieri i quali si distaccheranno dalla precedente tradizione siciliana, creando per la prima volta testi di lingua italiana. Questi poeti appartenevano ad una ristretta cerchia di intellettuali, che di fatto costituivano una specie di aristocrazia, non di sangue ma di nobiltà d'animo; erano infatti tutti molto eruditi ed appartenevano all'alta borghesia universitaria.